La priorità assoluta di togliere la cittadinanza a Mussolini. Partecipazione oceanica: sette persone e mezza.
È il 12 aprile dell’anno di grazia 2025, e Benito Mussolini è ancora cittadino onorario di Gorizia. Sì, proprio lui. Il Duce. L’uomo che ha inventato l’autarchia, i treni in orario e la camicia nera d’estate. E, sorpresa delle sorprese: a nessuno frega un cazzo.
Davanti al municipio, va in scena il teatrino dell’antifascismo da salotto: quattro pagliacci figli di papà, col curriculum in studi post-marxisti e la felpa dell’ultimo rave di Berlino, accompagnati da tre ospiti della sezione ex partigiani della “Sereni Orizzonti” di Turriaco che cantano “Bella Ciao” con l’entusiasmo di un gatto sotto anestesia. Sembrava un flash mob organizzato da una casa di riposo in crisi esistenziale.
Gli eroi della giornata? Andrea Picco e Eleonora Sartori, consiglieri comunali di “Noi, Mi, No Altri e sticazzi ancora…” che, tra un hashtag e una riunione su Zoom col collettivo “Sbrodolo Rosso”, decidono che è il momento di rompere le palle per una cittadinanza onoraria del 1924. E lo fanno con la grinta di chi spera di raccattare i voti di quattro nostalgici del Che Guevara con la bandiera della falce e martello cucita addosso e il guardaroba firmato “Povery-Chic”.
Il sindaco Ziberna? Non pervenuto. Pare stesse scegliendo il vino per “Gusti di Frontiera”. Ha dichiarato, con la solita diplomazia istituzionale: «Ma a mi… che cazzo me ciava. La revoca? No go tempo; go un aperitivo».
Nel frattempo, sul Monte Sabotino campeggia fiera la scritta “TITO” in font Arial Black 5500, ma nessuno dei manifestanti sembra notarla. Troppo impegnati a chiedere aiuto agli sloveni, ché fa molto internazionalista chic.
Nel resto della città, i goriziani si dedicano alle vere priorità: contare i giorni che mancano a Gusti di Frontiera, e bere come se non ci fosse un domani, col tasso alcolico medio che supera quello di un muratore veneto in ferie.
La rivoluzione può aspettare. Seguirà editoriale… Forse