Verona, Vinitaly: vino analcolico in esposizione

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Vino analcolico: il più grande inganno dopo il croissant vegano

Signore e signori, accomodatevi, aprite una bottiglia – vera – e lasciate che vi racconti una storia. Una tragedia moderna. Un’epopea dell’assurdo. Un incubo enologico nato nei laboratori sterili della borghesia che mette la quinoa nell’insalata e chiama il cane “Figlio”.

Parliamo del vino analcolico.

Sì. Esiste. No, non è uno scherzo. E sì, lo chiamano ancora “vino”. Come chiamare una bambola gonfiabile “fidanzata”. Come urlare “sono Batman” mentre ti arrampichi su uno stendibiancheria in mutande. È teatro dell’assurdo. È follia travestita da moderazione. È l’omicidio della dignità servito a temperatura ambiente con sentori di fallimento.

La masturbazione enologica

Bevi vino analcolico per “gustarne il sapore” esattamente come ti seghi davanti a un porno convinto che ti stai sbattendo la protagonista del film. Ma “almeno le emozioni sono vere”. No, amico mio. Non lo sono. Sei solo l’ennesimo coglione che sic rede Jimmy Hendrix mentre gioca a Guitar Hero.

Bere vino analcolico è come ordinare sushi senza pesce. Come andare a cena da Turri e mangiare solo l’insalata. Come guardare un film horror censurato con i mostri coperti da emoji. È come farsi un bagno caldo con i calzini. È come uscire con la tua ex “solo per parlare”. È la negazione del concetto stesso di vino. L’anima del vino è l’alco… cazzo!!! Toglierlo è come togliere l’acqua al mare e chiamarlo ancora oceano.

Il target? Gente che fa detox il venerdì, Padel il sabato pomeriggio e la Domenica si “pvende il the con I kompagni del civcolo di lettuva dei capolavovi di Vobevto Saviano”

 

Chi beve vino analcolico?

Facile. Quelli che postano foto della quinoa su Instagram e usano parole come “consapevolezza alimentare”. Quelli che dicono “stasera solo un bicchiere” e poi ti fanno una lezione LACERAPALLE sulla fermentazione naturale. Quelli che dicono “sono ubriaco di vita!” mentre tu sei ubriaco e basta, e la vita non ha ancora mostrato i titoli di testa.

E poi ci sono gli irriducibili dell’alternativa sana: quelli che “il vino normale mi dà mal di testa”. “Ma vai a dormire, Giovanna. Il vino ti dà mal di testa perché hai bevuto sei spritz e mezzo litro di lambrusco della Coop prima di cena. Non è il vino. Sei tu”.

La vita senza l’alcool?

Pensa alla gnocca che hai conosciuto quel venerdì sera, decisamente troppo gnocca per te, e adesso è la madre dei tuoi due figli. Pensa a quell’amico, pesante come un ancora del Titanic, che ti da lezioni su tutto ed è divertente come un cactus nel culo. Pensa a quelle cene con i colleghi, quelle in cui tutti parlano solo di lavoro e tu vorresti solo incappare in un maranza armato che metta fine alle tue sofferenze, ma devi far finta di divertirti per tenerti il posto.
Senza l’alcol? Saresti triste e single, perché tua moglie, da sobria, ti avrebbe evitato come la peste. Saresti solo e probabilmente in carcere, perchè da lucido gli amici “Titanici” li avresti riempiti di botte, Saresti disoccupato e povero, perchè senza l’alcool,  quei colleghi coglioni, li avresti presi tutti a calcio nel culo. L’alcool è amore, è unificatore, è diplomazia.

Il produttore di vino analcolico: Satana col grembiule

Immagina il produttore di vino analcolico. Non è un vecchio con la barba che pigiava l’uva con i piedi cantando canzoni popolari. È un ingegnere gestionale in camicia bianca, che controlla la fermentazione da un’app sul telefono. Un uomo che ha perso l’anima la sera che ha chiesto l’hamburger di ceci “senza pane” per stare in chetogenica.

È lui che decide che il “Cabernet senza alcol” ha lo stesso bouquet del vero. Peccato che abbia lo stesso sapore del collutorio con l’ansia. Un retrogusto di “che cazzo sto facendo con la mia vita”.

L’alcol è cultura, testedicazzo!!!

Bere un bicchiere di vino – vero – è un rito. È storia. È Dioniso. È l’Italia. È tua nonna che ti dà un dito di rosso a Natale quando hai sei anni e nessuno chiama i servizi sociali perché è normale.

Il vino è un atto di fede. Una messa pagana. Non è una bevanda: è una dichiarazione di intenti. Quando bevi un Merlot del Collio, stai dicendo “oggi non guido e mi va bene così”. Quando bevi vino analcolico, stai dicendo “ho rinunciato”. Sei come uno Jedi passato al lato oscuro, ma senza neanche il potere dei fulmini.

“Ma il gusto è simile!”

Simile a cosa? Al succo di uva dimenticato in frigo per due settimane?

È come dire che una sigaretta elettronica al gusto mojito ti ricorda la spiaggia. No. Ti ricorda un frigorifero rotto in una discoteca abbandonata nel 2006. La somiglianza è un’illusione. Il vino analcolico è il cosplay triste del vino vero.

La sinistra radical chic e il vino che non sa di niente

Ci sono anche quelli che dicono: “Il vino analcolico è etico”. Che non si può più bere alcol perché è patriarcale, coloniale, opprimente. La vite oppressiva! L’uva fascista!

E allora giù bottiglie “inclusive”, “gender-neutral”, “carbon neutral”, “prive di mascolinità tossica”. Col tappo fatto di materiali riciclati da lacrime di bambini asiatici costretti a cucire calzini di marca. MAANDATEAFAREINCULO

 

In conclusione: il vino è lo specchio della verità

Il vino analcolico è il punto di non ritorno. È la prova che la società ha smesso di lottare. Ci siamo arresi all’idea che tutto debba essere sicuro, controllato, senza rischi. Ma vivere è un rischio. Bere è una sfida. L’alcol è uno specchio: a volte ti piace quello che vedi, a volte no. Ma almeno è reale.

Quindi, la prossima volta che qualcuno ti offre un bicchiere di vino analcolico, fai solo una cosa.
Guardalo negli occhi.
Versa il contenuto nel lavandino.
Apri una bottiglia vera.
E brinda alla vita.
Alla follia.
Al fegato.
E soprattutto, la bottiglia senz’alcol gliela infili nel culo. Probabilmente lo farai pure felice

 

 

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